L'assedio di Firenze by Francesco Domenico Guerrazzi

L'assedio di Firenze by Francesco Domenico Guerrazzi

autore:Francesco Domenico Guerrazzi [Guerrazzi, Francesco Domenico]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2015-03-08T23:00:00+00:00


CAPITOLO DECIMOTTAVO

AMORE

Ti xe bella, ti xe zovene,

Ti xe fresca come un fior.

Vien per tutti le so lagrime;

Ridi adesso e fa' l'amor.

Barcaruola veneziana.

Belle luci di amore, siete sublimi quando l'aere si distende sereno, e l'orizzonte è azzurro. Vi saluterò io, fiori immortali della eterna primavera dei cieli? O piuttosto ninfe divine che venite a rinnovare i vostri cori per le volte eteree del firmamento? — Perchè, se ai nostri occhi è dato contemplare i vostri moti, non possiamo ancora deliziarci nei vostri suoni? Ah! forse le nostre fibri destinate a morire mal potrebbero sostenere le vibrazioni della lira celeste. Voi non usciste di mano a Dio per guardare la terra; che cosa è ella mai questa piccola massa di fango sanguinosa verso di voi tanto magnifiche, tanto raggianti di proprio splendore? No, voi non guardate la terra, altrimenti le vostre palpebre sarebbero adesso intenebrite nel pianto, — e quel vostro limpido tremolio diventato vermiglio come il pianeta di Marte. Poichè da voi emana luce, non lacrime, voi non guardate la terra, nè vi cale guardarla; ella si avvolge dentro un manto di nuvole: — ella sovente ai vostri castissimi raggi maledice. Caino invocò perenni le ombre e l'abisso sopra il suo capo fulminato. — Voi non morrete, figlie primogenite del pensiero di Dio: nel giorno della distruzione egli vi radunerà con amore e se ne comporrà un diadema per la sua fronte immortale — e quando il suo spirito, come nei secoli precedenti alla creazione si trasporterà sopra le acque, se lo prenderà fastidio della sua immensa esistenza, si guarderà nello specchio dell'oceano mostruoso e dirà: Io mi son fatto un magnifico diadema! — Dove egli spegnesse anche voi n'esulterebbe lo spirito degli abissi, come esultò il giorno nel quale vide pullulare sopra la terra la pianta avvelenata della tirannide.

Modeste come vergini, leggiadre come angioli, la mia anima vi séguita, o stelle, nei vostri notturni pellegrinaggi con sacro raccoglimento: voi avete potenza di sollevarla dalle miserie e dalle infamie della vita; da voi in lei scende virtù che la consola: — voi blandite i suoi mille dolori; — confortata da voi, ella si affretta a compire il suo pellegrinaggio, quasi un esule alla patria diletta.

Ah! se veramente composto di spirito e di corpo potrà il mio spirito sciolto avvolgersi volando tra voi, — immergersi nei tesori della luce e dell'armonia, allora fingete la morte con le sembianze dell'Ebe di Canova, coronatela di rose, le ponete nella manca un nappo gemmato, nella destra un vaso pieno di un liquore composto di speranza e di obblio, — ambrosia divina che addormenta la vita.

Ma se, invano pietose sogguardando il mio sepolcro, quanto ora di me rimase coperto della terra, se il mio occhio non potrà vagheggiarvi, il mio labbro benedirvi, allora io mi contristo su la vita che manca come di un amico che mi abbandona, di un fiore che mi si appassisce tra le mani, — dell'amore che mi si disperse in un sospiro per l'aria.

Egli dormiva, e la vergine gli vegliava a canto, e considerando quella fronte pacata, la prese vaghezza di deporvi un bacio.



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